Il luogo adatto per praticare yoga
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Uscire ed entrare con la stessa qualità

Ho già scrit­to in un post (e forse in più di uno) che prati­care yoga sig­nifi­ca entrare in una pos­tu­ra con l’atteggiamento gius­to; sen­za la fret­ta, sen­za il vol­er dimostrare niente a sé stes­si o ad altri , sen­za sfruttare il tem­po tra una cor­sa e l’altra per allenar­si un po’.

Per prati­care è nec­es­sario il  deside­rio di far­lo, inte­so come il donar­si, l’abbandonarsi, il las­cia­re cadere tut­to sul tap­petino: pau­re, ambizioni, obbi­et­tivi, pro­gram­mi, orolo­gi, smartphone.

Ho par­la­to dell’importanza dell’igiene per­son­ale e dell’igiene del luo­go dove si prat­i­ca oltre che dell’igiene men­tale ovvi­a­mente e lo ripeto volen­tieri come per l’igiene del luo­go e del­la pro­pria per­sona e del­la nos­tra mente è indis­pens­abile con­sid­er­are che ques­ta non bas­ta mai e va ripetu­ta sis­tem­ati­ca­mente sen­za mai pen­sare di esserne dis­pen­sati per­ché ormai esper­ti praticanti.

Anche se molti entra­no con i pas­si giusti, la pazien­za, l’ascolto, il sosteg­no di un respiro pro­fon­do e ben guida­to, il “lach­er prise” ovvero il per­fet­to equi­lib­rio tra la ten­sione ver­so il nos­tro mas­si­mo e l’abbandono mus­co­lare tendi­neo e lega­men­toso, il tut­to sot­to un amorev­ole atten­zione che non las­cia niente al caso, ogni gesto ogni pas­sag­gio devono essere rag­giun­ti meti­colosa­mente, non in automa­tismo, non per­chè conos­ci­amo la pos­tu­ra ma per­chè la sti­amo viven­do in quel pre­ciso momen­to; pro­prio per questo è nuo­va e si adat­ta a noi come un indu­men­to cuci­to da un sar­to con pre­ci­sione e pas­sione. Ogni vol­ta diver­so dal­la prece­dente per­chè noi sare­mo diversi.

Cosi come entri­amo in pos­tu­ra sen­za sapere real­mente cosa tro­ver­e­mo di nuo­vo ad ogni ese­cuzione ne usci­amo por­tan­do­ci dietro qual­cosa e questo rien­tro non può essere un “mol­lo tut­to e sbuf­fo e mag­a­ri pen­so alla spe­sa”. Rien­trare dal­la pos­tu­ra con la stes­sa qual­ità con la quale siamo entrati sig­nifi­ca chi­ud­ere il cer­chio con pre­ci­sione e rispet­to per quan­to sti­amo facen­do, anco­ra una vol­ta con il tem­po nec­es­sario alla sua con­clu­sione e sen­za ansia di anticipazione.

Il ritorno è forse più impor­tante anco­ra per­ché ci inseg­na a non iden­ti­fi­care questo lavoro raf­fi­na­to ed inte­ri­ore esclu­si­va­mente con le pos­ture; è un restare anco­ra in ascolto anche se abbi­amo las­ci­a­to lo sfor­zo fisi­co, in quan­to il lavoro che abbi­amo prodot­to sta anco­ra pro­ducen­do i suoi effet­ti den­tro di noi. Questo non sig­nifi­ca che dovre­mo assumere un aspet­to mist­i­co e dis­tac­ca­to oppure non ascoltare cosa ci viene det­to di fare dai com­pag­ni di prat­i­ca o da chi ci sta guidan­do; sig­nifi­ca con­ser­vare e pro­teggere quel­lo che abbi­amo toc­ca­to inti­ma­mente sen­za but­tar­lo velo­ce­mente in un ango­lo per rin­cor­rere il tempo.

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Catherine Bellwald
Catherine Bellwald
Medico, Fisiatra, Agopuntrice, Istruttrice Yoga Alliance YACEP, E-RYT 200, RYT500

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