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Prānayama tradotto leteralmente significa padroneggiare il Prāna. Il Prāna è l’analogo del Qi della Medicina Cinese ovvero un’energia universale che tutto permea. In molti quindi non amano definire Il prānayama come esclusive tecniche respiratorie ma come tutto lo Yoga; si tratta di tecniche precise atte a muovere l’energia in senso lato ed evolutivo del termine, sfruttando sapientemente il respiro.
Per Prāna quindi non si intende l’ossigeno presente nell’aria ma un aspetto energetico della stessa, allo stesso modo di quando parliamo di cibo il Jing esprime l’energia vitale dell’alimento e non la sua componente biochimica. Resta facile da intuire come in città avremo un’aria viziata e inquinata colma di idrocarburi policiclici definiti genericamente come sostanze tossiche, invece se immersi nella natura incontaminata l’aria potrà contenere più ossigeno e non solo. Ebbene c’è chi parla di ioni negativi, c’è chi parla di oli essenziali sprigionati dal mondo vegetale, c’è chi parla di alcuni specifici raggi solari capaci di filtrare solo in aria pulita. C’è poi chi vede il prana come una sorta di microscopiche lucciole che si agitano nell’aria.
Non importa definirlo scientificamente (tanto non ci riusciremmo) ma, come un frutto appena colto può contenere un’energia completamente diversa da uno conservato in frigorifero per una settimana, anche l’esecuzione del prānayama in un’atmosfera incontaminata rispetto a una stanza magari poco ventilata o con aria condizionata dove praticano diversi allievi per ore, credo sia un fatto sul quale è inutile anche parlare in quanto ovvietà indiscutibile.
Il respiro è svolto dall’organo Polmone; è il primo atto fisico quando veniamo al mondo e l’ultimo alla nostra dipartita. In medicina cinese, l’organo Polmone è il primo meridiano della grande circolazione e in senso energetico è il primo strumento evolutivo dell’uomo.
Con l’inspiro e con il tatto poiché la pelle è l’organo esterno del Polmone, si entra in contatto con il mondo, e attraverso l’espiro si lascia andare, non solo l’anidride carbonica ed eventuali sostanze tossiche ma anche tutto quello che non ci serve più. Si lascia la presa, unico modo per poter andare avanti, perché solo aprendo la mano potremo afferrare ancora qualcosa.
Il primo passo verso il Prānayama è intanto accorgersi del proprio respiro, della sua lunghezza o brevità, di dove si ferma, di come sono le sue 4 fasi, inspiro, pausa a polmoni pieni, espiro e infine pausa a polmoni vuoti. Nel soggetto non allenato il respiro durante il giorno si muove meccanicamente con pause quasi nulle e una fase inspiratoria sempre più lunga rispetto alla fase espiratoria. Il tempo medio di un respiro è di circa 4-5 secondi e la frequenza varia da 12-16 atti respiratori al minuto in condizioni di riposo per salire fino a 35-45 durante lo sforzo fisico oppure in caso di agitazione emotiva. Il che riduce il respiro ancora notevolmente fino a meno di 2 secondi per atto respiratorio. Ebbene uno yogini dovrebbe avere un respiro di almeno 20 secondi per considerarsi tale.
Lavorare sul respiro è fondamentale per imparare la cosa più importante: lasciar andare; il bambino e il cane quando afferrano un oggetto lo tengono stretto fino a quando non si distraggono o si dimenticano, l’uomo in evoluzione lascia la presa volontariamente, non per caso ma come importante passo da compiere e ricompiere sistematicamente per andare avanti.
Il respiro controllato è il primo strumento per esercitare una volontà, attraverso un’azione consapevole capace di controllare il meccanismo automatico della respirazione. Il respiro diventa una sorta di ponte tra il corpo e la mente e ci consente di ancorarci al presente, a quel “qui e ora” che poi è l’energia emotivo spirituale del Polmone, chiamata Po.
Ecco perchè lo Yoga non sarà mai solamente una postura e un atto fisico ma un sistema articolato e complesso per evolverci. Un modo per imparare dal corpo partendo dal corpo.
Un altro aspetto importante sono le controindicazioni al Pranayama che sono stabilite per i cardiopatici e per i pazienti con patologie polmonari. Ovviamente questo serve per tutela anche per qualsiasi pratica fisica. E’ giusto però aggiungere che il prānayama fatto con una guida esperta e con attenzione e gradualità può giovare grandemente a soggetti con cardiopatie lieve-moderata e insufficienza polmonare lieve-moderata. In riabilitazione si parla di rieducazione respiratoria e in realtà le basi di queste tecniche sono ancora quelle dello Yoga e direi, senza paura di essere smentita, che le conoscenze nel prānayama sono talmente antiche e profonde da non potersi ad oggi definire sorpassate ma solo da studiare e rivalutare.
Ebbene il primo passo da imparare è quello di lavorare sull’espiro che di norma è molto corto rispetto all’inspiro.
Equilibrare la fase dell’inspiro con la fase dell’espiro, 4-5 secondi per ogni fase e consapevolizzare le pause sia quella a polmoni pieni che quella a polmoni vuoti che possono durare 1-2 secondi al massimo. Per fare questo primo passo, l’ingrediente indispensabile è l’attenzione focalizzata sul respiro, che deve restare fluido, senza intoppi e affanno, resteremo attenti ad ogni singolo respiro e all’inizio possiamo contare per essere sicuri di riuscire a equilibrare l’inspiro con l’espiro. Questo primo lavoro è solo l’inizio di un lungo viaggio ma un lungo viaggio inizia sempre con il primo passo e come dice Swami Sivananda:
“un’oncia di pratica vale più di una tonnellata di teoria”.
Per chi volesse approfondire, consiglio questo video che spiega le basi di Pranapanagati, uno dei primi Pranayama e forse anche uno dei più importanti. Lo trovate a QUESTO LINK.