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Savasana non ha confini

Savasana e Rajasana sono come due prin­cipi opposti con­tenu­ti nel­la medes­i­ma (illu­so­ria e appar­ente for­ma fisi­ca), di facil­ità. Entrambe le pos­ture si eseguono intera­mente lunghi e dis­te­si sul dor­so, con entrambe le brac­cia aperte ai lati del cor­po e i pal­mi delle mani riv­olti ver­so l’alto.

La pri­ma, la pos­tu­ra det­ta del cada­v­ere (Sava in San­scrito), é conosci­u­ta uni­ver­salmente e prat­i­ca­ta a tut­ti i liv­el­li di yoga. Si com­pie attra­ver­so un abban­dono di tut­to il cor­po al suo­lo, las­cian­do che la grav­ità com­pia il suo mirabile lavoro di depos­i­to al suo­lo di ogni resisten­za fisi­ca e psichica.

La sec­on­da, molto meno conosci­u­ta e defini­ta pos­tu­ra dei re (Raja in San­scrito) per richia­mare la sago­ma funer­aria dei reali, si com­pie in totale ten­sione mus­co­lare glob­ale; le brac­cia sono con­trat­te e tese in mas­si­ma extraro­tazione con le spalle ben spinte ver­so il bas­so e  le mani tese ruotano com­ple­ta­mente por­tan­do ver­so l’alto il lato del migno­lo. Il pet­to é spin­to ver­so l’alto al mas­si­mo. Le gambe anch’esse tese al mas­si­mo appog­giano prin­ci­pal­mente sui tal­loni. Otti­ma pos­tu­ra per chi­unque sof­fra di dif­fi­coltà nel­la cor­ret­to man­ten­i­men­to del­la pos­tu­ra eretta, in quan­to per­me­tte di mem­o­riz­zare e inte­ri­or­iz­zare l’assetto del­la per­fet­ta lin­ear­ità atti­va, che dovrem­mo ritrovare quan­do ci met­ter­e­mo in pie­di nel­la stra­or­di­nar­ia pos­tu­ra di Tadasana, pos­tu­ra anche lei solo appar­ente­mente banale ma che ben fat­ta pro­duce effet­ti inte­ri­ori e fisi­ci impor­tan­tis­si­mi. Attra­ver­so un buon Tadasana  impar­ere­mo a cen­trar­ci in pochi sec­on­di, a restare eretti di fronte alle dif­fi­coltà e sen­tir­ci soli­di come mon­tagne (vedi link)

Rajasana é grande­mente utile anche per col­oro che non riescono a rilas­sar­si e abban­donar­si facil­mente in Savasana, infat­ti la fat­i­ca nel man­tenere poten­te­mente con­trat­ti tut­ti mus­coli del cor­po di Rajasana diven­ta una spon­tanea entra­ta nel suo oppos­to “mol­lo tut­to” di  Savanasa.

Non é un caso se Savasana é la clas­si­ca pos­tu­ra che chi­ude una ses­sione di yoga che pos­si­amo definire dinam­i­co, che sia Hatha, Vinyasa o Ash­tan­ga. Non é un caso se viene comune­mente usa­ta come inter­mez­zo alle ses­sioni pro­l­un­gate di Med­i­tazione sedu­ta e di Pranaya­ma. Tro­vi­amo nell’impegno fisi­co che segue il prin­ci­pio di inten­sità (Legge del tut­to o nul­la di cui ho par­la­to a questo link) il prin­ci­pio del suo oppos­to com­ple­mentare: il rilas­sa­men­to fisi­co, psichico ed emo­ti­vo di Savasana.   Molti  maestri di Hatha  Yoga come Philippe De Fal­lois usano Savasana tra una pos­tu­ra e l’altra, alter­nan­do costan­te­mente l’impegno e la focal­iz­zazione del man­tenere a lun­go una pos­tu­ra, al rilas­sa­men­to a ter­ra. In ques­ta maniera  ogni  pos­tu­ra  ha la pos­si­bil­ità di depositare i suoi ben­efi­ci in pro­fon­dità nel cor­po fisi­co ed ener­geti­co, andan­do a rimuo­vere ten­sioni pro­fonde talo­ra anche vec­chie di decenni.

Un  modo sem­plice per alternare l’attivo e il pas­si­vo, lo yang e lo yin,  impara­n­do a tran­sitare da uno sta­to all’altro, sen­za restare anco­rati al vec­chio ma preparan­do­ci subito fisi­ca­mente, men­tal­mente ed emo­ti­va­mente ad accogliere il nuo­vo. Una capac­ità che non definirei scon­ta­ta e che ci per­me­tte di tuf­far­ci nel pre­sente rin­un­cian­do al fardel­lo del pas­sato e all’elucubrazione del futuro.

Molti definis­cono Savasana come la pos­tu­ra più dif­fi­cile da prati­care, per­sonal­mente non la pen­so così; Savasana é una por­ta per le altre pos­ture come tutte le pos­ture sono una por­ta per Savasana. Savasana richiede uno sta­to di veg­lia e atten­zione asso­lu­ti asso­ciati a uno sta­to di rilas­sa­men­to fisi­co pro­fondis­si­mo, richiede uno sta­to di coscien­za diver­so da quel­lo che uti­lizzi­amo abit­ual­mente, meno mate­ri­ale. Alcune per­sone ci entra­no sen­za alcu­na dif­fi­coltà come se l’avessero sem­pre prat­i­ca­ta, con la stes­sa nat­u­ralez­za e la bellez­za del tuf­far­si nell’acqua cristal­li­na dei Caraibi. In altri casi esistono delle resisten­ze interne, che impedis­cono let­teral­mente l’esperienza anche a dis­tan­za di poche ore da quel­la prece­dente. In queste situ­azioni, il soprag­giun­gere del son­no oppure il con­tin­uo e inces­sante pen­siero mec­ca­ni­co non ci las­ciano entrare ma non sig­nifi­ca che non siamo tagliati per sper­i­menta­re ques­ta espe­rien­za, sig­nifi­ca solo che non ci siamo entrati, non ques­ta volta.

La definirei una sor­ta di aper­tu­ra inte­ri­ore che con il tem­po e la prat­i­ca si può impara­re ad appli­care ad ogni pos­tu­ra. Ho recen­te­mente let­to una frase che dice­va “…non impor­ta quan­to pro­fon­da­mente entri in pos­tu­ra ma impor­ta trovare chi sei” e la mod­i­ficherei in: “Non impor­ta la for­ma che assu­mi este­ri­or­mente ma, quan­to più pro­fon­da­mente entr­erai nel­la pos­tu­ra, quan­to più pro­fon­da­mente tro­verai chi sei“.

Sec­on­do alcune tradizioni yogiche il man­tenere lo sta­to di veg­lia durante la notte sarebbe una pos­si­bil­ità di attin­gere a una sor­ta di ser­ba­toio ener­geti­co for­mi­da­bile,  grande­mente utile per miglio­rare la dis­per­sione ener­get­i­ca che la mente pro­duce con­tin­u­a­mente nos­tro mal­gra­do a causa dei pen­sieri mec­ca­ni­ci sia diurni che not­turni e che poi ci osta­co­la nel­la nos­tra evoluzione interiore.

Ecco per­ché la prat­i­ca del­lo Yoga Nidra non é sola­mente un modo per rilas­sar­si dal­la fat­i­ca e dalle ten­sioni accu­mu­late nel­la gior­na­ta (come ormai viene qua­si uni­ca­mente pro­pos­ta) ma un vero mira­co­lo a dis­po­sizione di tut­ti per sper­i­menta­re uno sta­to di coscien­za del tut­to stra­or­di­nario dove la mente perde il suo potere e l’energia dell’Universo ci attra­ver­sa, accarezzandoci.

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Catherine Bellwald
Catherine Bellwald
Medico, Fisiatra, Agopuntrice, Istruttrice Yoga Alliance YACEP, E-RYT 200, RYT500

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